
- di Madonnager
Il virus spiegato ai miei nipoti: oggi schiero in campo maNONNAger.
Un giorno ci siederemo di fronte ad un condizionatore (i camini non serviranno più grazie alla deriva totale dell’effetto serra) e la nonna vi racconterà come era andata con questo maledetto virus anche dal vivo.
Per non dimenticare cari nipotini, scrivo due appunti ora per raccontarvi come è iniziata.
Come è finita ancora non lo so. Spero di non lasciarci le penne (lisce o a righe che siano) e di potervi poi aggiornare sul finale.
Dicevamo… Tutto era iniziato in Cina con un gourmand che un giorno aveva deciso di assaggiare un pipistrello (o un cugino di un armadillo, non si è ancora chiarito). Oltre ad una cocente delusione culinaria si era cuccato in omaggio un virus nuovo, sconosciuto, per cui ancora non si avevano vaccini o anticorpi. Da lì è partito un delirante isolarsi delle genti in casa, la creazione di ghetti, uomini-palombaro che igienizzavano le strade, video di cani addestrati a fare la spesa per gli esseri umani.
A noi Occidentali “evoluti”, abituati a sfottere le esagerazioni provenienti dal Sol Levante e dintorni, queste diapositive da “Apocalypse now” sono sembrate semplicemente lontane, inarrivabili, non possibili qui.
Invece un giorno, come se il vantaggio e il preavviso a discapito dei poveri cinesi non ci avessero minimamente pre allertato… il virus è arrivato anche qua. Primo caso un ragazzo coetaneo di Nonno ING. Sano. Sportivo. Intubato in rianimazione per 18 giorni.
Tutta la zona da dove proveniva e tutte le persone che potevano essere entrate in contatto con lui sono state messe in quarantena. Ma ancora c’era chi minimizzava. Io stessa all’inizio non ne ho davvero capito la portata. Ci hanno dato messaggi discordanti, opposti. Non preoccupatevi. Preoccupatevi. E’ un’influenza. Non è un’influenza. Muoiono solo i vecchi già conciati da sbattere via. Muoiono anche i giovani. Salviamo l’economia! Fanculo l’economia.
Insomma come sempre bastava affidarsi alla matematica, alla statistica e al concetto di “esponenziale” forse non così chiaro ai molti. Un articolo girato UNA SETTIMANA dopo l’inizio del tutto, che spiegava bene i numeri e il problema legato alla scarsa disponibilità dei letti in terapia intensiva, ossia l’unica cosa sensata, chiara, giusta da dire subito, è stato condiviso a caso insieme a video di gente che faceva aperitivi perché #milanononsiferma e ai meme di ragazze cinesi che gridavano “molilete tutti”. Risate miste a panico. In continuazione. Una risata ci seppellirà.
E qui la consapevolezza che con il senno di poi è facile. Il disastro è non capire QUI e ORA cosa sta succedendo. Il disastro è avere in contemporanea informazioni da virologi e critici d’arte che si arrogano entrambi il diritto di dirla giusta e pensare che abbiano la stessa autorevolezza, attendibilità e diritto di parlare. Questa è la deriva del nostro tempo.
Leggere di morti per il contagio di massa e vedere 3.500 francesi vestiti da puffi a distanza di uno scrollo di dita. Sentire audio provenienti dalla trincea degli ospedali e interviste a politici in montagna che celebrano la vita, in contemporanea.
Peccato che poi il critico d’arte non si ritroverà a gestire i casi di giovani intubati. E il politico di turno, ammalato, avrà la corsia preferenziale. Mentre negli altri casi si decide chi vive e chi muore. Sembrano quei dilemmi morali studiati in filosofia (se volete un esempio qui). Solo che questa volta sono… la realtà. E per la prima volta nella vita mi sento davvero vulnerabile anche io e capisco cosa ci ha bloccato. L’impossibilità di accettare una limitazione alla nostra libertà, alla nostra routine. Qualcosa di orribile per tutti noi maniaci del controllo. Niente può permettersi di cancellare i nostri impegni, i nostri week end. I nostri appuntamenti di lavoro. La nostra vita. L’incapacità di reagire all’inatteso (che poi inatteso non era) dovrebbe farci molto riflettere sulla nostra natura.
Insomma, il virus spiegato ai miei nipoti fa paura. Non so che strascichi lascerà tutto questo. Mi sono ritrovata a pensare che in casi come questi (e solo questi) il controllo dell’informazione non sarebbe stato un male.
Da tutto questo magari ne uscirà anche qualcosa di buono. Cambierà qualche paradigma e di sicuro non saremo più gli stessi. La famosa resilienza che tanto viene citata nei libri di management forse tornerà utile anche ora. Perché è il solo modo per farcela. Dopo la botta e il frastuono bisogna superare il trauma e reagire, cambiare comportamento.
Cari nipoti, chissà se i vostri genitori, ossia i miei figli, chiusi in gabbia a parlare di virus e anticorpi, disegnandoli ogni giorno e imparando in un baleno concetti che avrebbero il diritto di scoprire ad un’età maggiore, saranno più bravi, più preparati di noi in futuro e che per una volta conoscere la storia aiuti. Che imparino che ne usciremo solo collaborando, rispettando le regole e facendo dei sacrifici per il bene comune. Spero che molti bambini di oggi scoprano che i veri eroi sono i dottori e gli scienziati. E decidano per quella strada un domani.
Il virus spiegato ai miei nipoti: forse (anche) opportunità per migliorare come esseri umani.
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Mamma, donna, manager, dispenso consigli che nessuno ha chiesto su come conciliare alla meno peggio la sindrome da multi-personalità. Restiamo in contatto!
Bravissima Atena! Come sempre sul pezzo; ironica e profonda! I tuoi nipoti avranno un quadro completo della situazione e avendo studiato anche la storia precedente, potrebbero dirti: tra tutti i periodi bui e complicati della storia, quello fu sicuramente il “migliore”! I nostri nonni (almeno i miei!) sono stati chiamati al fronte a combattere senza grandi mezzi, scarpe di cartone e vestiario non certo tecnologico e riscaldante. I mezzi di comunicazione quasi inesistenti, avevano 18 anni e partivano per un viaggio verso… vabbè qui divento troppo seria e drammatica, ma mi piacerebbe suggerire qualche libro ai nostri diciottenni/ventenni sulle condizioni dei loro coetanei di cent’anni fa! Una bella lettura comodamente seduti al calduccio sul divano della loro Smart home. L’ho detto! Ecco!
Non oso davvero immaginare cosa hanno provato i nonni. E cosa provano i milioni di profughi che scappano dalle guerre. Ciao e grazie per il commento.