
- di Madonnager
Le parole da usare con i nostri figli: con quanta cura le scegliamo?
Anche voi ricordate puntualmente alcune frasi che vi hanno detto i vostri genitori? Io ne ho in mente diverse che mi sono state dette (in particolare da mio padre) quando ero bambina-adolescente e che hanno guidato la mia crescita, per fortuna positivamente.
Conscia di questo e dopo aver letto molto a riguardo, pongo sempre estrema attenzione quando parlo con i miei bambini. Non si può essere sempre precisi e perfetti, ma il detto “ne uccide più la penna che la spada” la dice lunga: le parole sono davvero importanti e possono creare effetti positivi o disastri nella psiche dei piccoli e meno piccoli.
Mi occupo di brand management e comunicazione per lavoro: non posso non applicare alcune regole anche nel linguaggio di tutti i giorni a casa. Do per scontato che siamo allineati sul fatto di evitare espressioni tipo “brutto pezzo di idiota, cosa ti è venuto in mente?”. Vediamo se ci sono alcune tecniche più raffinate di cui possiamo servirci.
Di tutti gli spunti letti negli anni scelgo con piacere di condividere quelli tratti da un libro che mi ha regalato mia madre “Le parole per crescere tuo figlio” di Alessio Roberti, sociologo specializzato in comunicazione. E’ una lettura scorrevole, ha anche una sezione dedicata ai figli adolescenti per come affrontare con loro il tema del cyber-bullismo e indirizzarli ad una presenza sana sui social. Questa parte la rimando a quando i miei figli saranno più grandi.
Prima di tutto ribadisce come le frasi rivolte da genitori, amici e parenti stretti impattino moltissimo sull’autostima dei bambini. Per ciò uno dei mezzi che abbiamo per non insegnare sin da piccoli a dipendere dalle opinioni altrui è… incentivare il proprio pensiero critico. Ad esempio nostro figlio è distrutto perché un suo amichetto gli ha detto che ha delle nuove scarpe bruttissime? (questi sono i grandi problemi quando sono piccoli, per fortuna). Proviamo a chiedergli “E tu, cosa ne pensi?”. “Tu come la vedi?” “Tu sei d’accordo?”. Più imparano a ragionare con la propria testa, meno saranno in balia del giudizio degli altri.
Quello che mi sono portata a casa principalmente è di fare attenzione non solo a COSA dici ma anche a COME lo dici. I bambini sono particolarmente sensibili anche al linguaggio para verbale e non verbale (tono, volume della voce e linguaggio del corpo). Fingere che vada tutto bene non è ok, li spiazza. Quindi se torniamo a casa dopo una giornata dura di lavoro e siamo giù, loro lo percepiscono. Inutile negare. Meglio condividere con sincerità il nostro stato d’animo. Insegniamo così loro, che a tutti capita di essere vulnerabili.
In generale manifestare tutto lo spettro delle emozioni e insegnare ad accettarle quando le provano a loro volta è davvero consigliato. Abbiamo tutti notato quanto il tema venga affrontato ormai all’asilo, da molteplici libri e cartoni. Ai nostri tempi non c’era tutto questo focus sulle emozioni. Ben venga questa educazione all’intelligenza emotiva e all’empatia quindi. Forse renderà l’umanità migliore.
Altra regola fondamentale riguardo le parole da usare con i nostri figli è di non dare giudizi su di loro come persone ma sulle loro azioni.
Frasi ripetute in continuazione come “sei scemo”, “sei cattivo”, “sei un disastro” danno un giudizio che porta poi ad auto definirsi tali e a credere davvero di esserlo, continuando a perpetrare comportamenti che confermino “l’etichetta” (la famosa profezia che si auto avvera). Ho già parlato dell’elogio e rinforzo del comportamento virtuoso come approccio alternativo nel mio articolo su come gestire la rabbia dei nostri bambini.
Se però è proprio il caso di riprendere nostro figlio, meglio condannare il suo comportamento e non lui in generale.
“Hai avuto un comportamento maleducato!”, o “hai combinato un pasticcio”. Le prime volte vi sentirete un po’ idioti. Mi ricordo le risate trattenute e gli sguardi complici tra me e l’ING quando dicevamo “hai avuto un comportamento monello”: fa ridere. Però vi assicuro che nel tempo si trovano le formule verbali giuste e ci si abitua. Non solo, ma si inizia a notare quando gli altri non applicano questa accortezza. Date un’occhiata al livello di mortificazione del bambino “vittima”, se vi capita.

Un altro insegnamento prezioso e contro intuitivo è quello, in comunicazione, di stare in silenzio. Ascoltare. Ascoltarli. Perché non si può pretendere di parlare solo quando ne abbiamo voglia o bisogno noi. Se dimostriamo di essere disponibili, con rispetto, ad affrontare le loro piccole questioni quotidiane, sarà del tutto normale essere pronti a discutere anche le questioni più importanti. La comunicazione in famiglia è una maratona, bisogna allenarsi.
Ecco, io spero che i miei figli crescano con la consapevolezza che potranno parlare con noi di tutto. Sempre. Con il maschio sarà più dura perchè è uno di poche parole in generale. Ma un conto è non avere voglia di dire, un conto è… averne paura. Ho notato per esempio che non ama raccontare i fatti con dovizia di particolari nel day by day, ma quando mi sdraio vicino a lui al buio poco prima che si addormenti (la sorella ha di solito già la bolla al naso) è capace di condividere pensieri e sentimenti con una capacità di introspezione notevole. Mi sento di dire quindi che è importante anche intercettare i momenti giusti per parlare.
E quando abbiamo noi qualcosa di importante da dire loro, la regola del less is more dev’essere davvero un mantra: dritti al punto senza troppi giri di parole. Altrimenti rischiamo di diluire il messaggio e confonderli. Un messaggio sintetico ha più probabilità di essere ascoltato (uh quanto ce lo ripetiamo anche in ufficio nel nostro lavoro, tutti i giorni!)

Tra le parole da usare con i figli per farsi ascoltare, merita un capitolo a parte quello delle negazioni. Fate una prova e ditemi se non trovate una differenza abissale nella reazione dei vostri figli tra una frase come:
“Attento, non muovere il bicchiere, non rovesciare l’acqua!” e
“Fai attenzione al bicchiere! Tienilo dritto”
Il risultato atteso è il medesimo ma nel primo caso, prima ci si focalizza proprio su quello che NON si vuole e sul bicchiere rovesciato, per poi decodificare la negazione. Ergo? Probabilmente si ottiene un pavimento bagnato. Sempre meglio riferirsi al comportamento desiderato.
“Non correre” può diventare “camminiamo insieme”? “Abbassiamo la voce?” può essere una valida alternativa al “non urlare!”, “Non si tocca” può essere sostituito da… “Ora possiamo solo guardare”. Questo è il meccanismo.
Altra chicca del libro: se non volete che i vostri figli giochino in sala con la palla ad esempio, invece di negarglielo, fornite un’alternativa. “Mettetevi la giacca e uscite in giardino/cortile!” (meno facile in tempi di lockdown!). Il divieto in questo caso diventa permesso nel luogo adeguato. Così si evita lo scontro diretto e si educa ai comportamenti giusti nei contesti appropriati. Insomma i NON ai bambini NON piacciono. Aggiungiamoci anche che nel caso di un NO detto è comunque bene sempre spiegare le motivazioni. Il “Perchè no!” o “Perchè lo dico io!” fanno molto padre-padrone del secolo scorso.
Bene direi che qualche spunto sulle parole da usare con i nostri figli l’abbiamo trovato. L’ultimo consiglio non richiesto è… ricordiamoci di dire spesso loro quanto li amiamo. Nella frenesia di tutti i giorni a volte ci si dimentica che il linguaggio che più nutre e più rinforza è quello degli abbracci, delle coccole (Covid free ovviamente) e dei ti voglio bene sussurrati nell’orecchio.

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