
Rientrare al lavoro dopo la maternità è un evento traumatico. E’ inutile negarlo.
Mi ricordo benissimo le sensazioni che ho provato io: un misto di disperazione, senso di colpa, ma anche un’inconfessabile sentimento di “liberazione”. Volevo tornare ad occupare la testa di idee e concetti un po’ più stimolanti rispetto a pappette, cacche e coliche.
Soprattutto dopo la nascita della mia seconda figlia, avendo alzato l’asticella tra lavoro full time e due figli piccoli, ero terrorizzata dal non riuscire a conciliare il tutto. Mi ricordo che avevo tanto bisogno di confrontarmi e di parlarne, ma avevo scelto un “centro d’ascolto” sbagliato.
La mia manicurista cinese.
Tra smalti e lime io le aprivo il mio cuore, le raccontavo le mie paure e le mie insicurezze. Lei annuiva con lo stesso interesse riservato al call center quando ti sciorina tutti i dettagli dell’ultima offerta Wind.
Da poco è rientrata una mia collega in ufficio dopo la nascita della seconda bambina.
Ogni tanto penso a cosa sta passando, perché lo so: nottate da incubo, poche ore di sonno (a volte tre, scarse), gelosia del maggiore che si manifesta nei modi più assurdi. Per tutto il giorno ti senti rintontita ed è un miracolo che non sei uscita di casa con le ciabatte. La difficoltà di gestire eventuali malattie dei bambini, che non tutti hanno la fortuna di avere i nonni vicini, disponibili o una baby sitter full time…
Quando mi è capitato di rientrare al lavoro dopo la prima maternità questa è stata la mia prima causa di stress e disagio. Sentivo il peso delle responsabilità in ufficio (avevo ricevuto una promozione durante la gravidanza), mio figlio iniziava a incasellare una serie di malanni, uno via l’altro. Non potevo assentarmi ogni due per tre. Incastrare ogni volta agende di due nonne e baby sitter mi faceva letteralmente impazzire. Ho poi optato per una soluzione drastica: nido più baby sitter fissa (il tasso con cui si ammalava mio figlio e il tempo di recupero erano imbarazzanti, non avevo alternative). Non vi dico i sensi di colpa. E il continuo senso di inadeguatezza in entrambi gli ambiti.
Questa situazione è tra le principali motivazioni per non rientrare al lavoro dopo la maternità, o per lasciarlo. Se per prenderti cura di un bambino devi spendere come o più di quello che guadagni che senso ha? Non tutti in ogni caso possono permetterselo, è un grande sacrificio. Rinunciare al lavoro è però una grande sconfitta e una perdita anche per tutta la società. Banalmente, due stipendi mantenuti nel medio lungo periodo aumentano la capacità di spesa di una famiglia e l’economia ne guadagna. (Ci si arriva senza una laurea alla Bocconi, eh). E poi più donne nel mondo del lavoro si traduce in una maggiore possibilità di arrivare ai vertici e di poter cambiare alcuni aspetti non proprio women-friendly.
Purtoppo stando ai dati di uno studio di LEAN IN, l’organizzazione non profit fondata da Sheryl Sandberg (la numero due di Facebook) che lavora a favore dell’empowerment delle donne sul lavoro, in caso di colloquio una donna che ha figli ha il 79% delle probabilità in meno di essere scelta, e nel caso lo fosse, le verrebbe offerto un salario che è di circa 11.000 $ inferiore. Dati che scoraggiano. Non è giusto.
E qui interviene il consiglio che nessuno ha chiesto, sapendo che oggi l’argomento è più delicato che per un elefante camminare nel famoso negozio di cristalli. Nonostante tutto…. (e spero di non ferire la sensibilità di chi ha fatto o farà scelte diverse, che comunque rispetto molto)…
NON MOLLATE, NON MOLLATE, NON MOLLATE!

E’ dura, ma poi migliora. Il sacrificio, anche economico, poi rientra e nel frattempo hai mantenuto un lavoro. Non sei sbagliata, non sei una cattiva madre, non sei una pessima lavoratrice, non sei tonta, non è vero che non ce la puoi fare. Ce la farai. Stai superando un periodo che è tra i più stressanti in assoluto.
Lo dico alla mia collega, che naturalmente non mi ha chiesto nulla a riguardo, lo ricordo a me stessa, anche i miei figli sono ancora piccoli, ma noto il continuo miglioramento. Lo dico a chiunque stia passando un momento di dubbio e sia inciampato in questa pagina.
Vi abbraccio forte, con tutta l’empatia di cui sono capace. E’ dura, noi mamme lavoratrici lo sappiamo. Noi cinture nere di incastro.
Rinunciare alla propria indipendenza economica, alla propria area di realizzazione personale, se una l’ambizione ce l’ha, alla lunga però può essere più frustrante. Poi i bambini crescono, ci si riesce a giostrare sempre meglio. Non siete sole, non siamo sole. Parliamone con le persone che ci sono vicine (magari non le estetiste asiatiche), alziamo una mano anche in ufficio.
Alcune aziende evolute mettono a disposizione psicologi per aiutare le mamme al rientro post maternità. Danno buoni di baby sitting, combattono il maternal bias (se non sai cos’è leggi questo articolo), offrono la possibilità di lavorare da casa o il part-time, almeno nel primo periodo. Le cose stanno cambiando, presto non saranno più eccezioni, ma la normalità.
Oggi ci sono siti come Toptata che mettono in contatto domanda e offerta. Ci sono tante professioniste che fanno servizio di baby sitting a chiamata. Averne almeno un paio di riferimento fa affrontare la questione con meno stress ed ansia da organizzazione. In più è una soluzione meno onerosa della baby sitter fissa.
E poi ci sono i nostri più grandi alleati. I papà! Non sono comparse, sono attori co-protagonisti di questa meravigliosa avventura. Dobbiamo imparare a collaborare equamente.
Infine, se proprio ancora non basta e vi sentite costantemente prossime all’esaurimento nervoso, potete sempre aprire un blog e tirare un pippone ai vostri lettori per elaborare la questione.
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