
- di Madonnager
The Handmaid’s tale: riflessioni sull’imperdibile serie di Amazon. Prime Video, ovviamente.
Anzi riflessioni sull’incredibile libro (datato 1985 eppure così attuale!) che c’è dietro e la sua scrittrice, Margaret Atwood.
Ne ho sentito parlare per la prima volta nel podcast Morgana di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri. Una serie di puntate dedicate a donne, forti, un pò streghe, un pò “stronze” (come presentano il format nell’intro), difficili da etichettare, quindi scomode.
La prima puntata è dedicata proprio alla scrittrice e al suo “Il racconto dell’Ancella”. Mi aveva stregato (per l’appunto!) e avevo già messo nella mia “to watch list” l’adattamento televisivo.

Una mia amica negli ultimi mesi continuava a raccomandarmelo e io a procrastinare (vedi quante opportunità si perdono a rimandare, come detto nel mio articolo precedente). Finchè finalmente non è arrivato il giorno in cui ho schiacciato play.
Che serie! Sia per la storia, che per la fotografia (ti sembra di essere costantemente in un quadro fiammingo). E’ un racconto distopico (a differenza di un’utopia, racconta infatti di un mondo spaventoso e non desiderabile) in cui la razza umana fa fatica a riprodursi, a causa dei cambiamenti climatici e alle risorse divenute tossiche.
Solo poche donne sono fertili e in seguito a degli attentati terroristici, con il conseguente instaurarsi della legge marziale, gli Stati Uniti diventano una teocrazia (la Repubblica di Gilead): una società di fanatici religiosi, divisa in una sorta di caste.
C’è un’unica costante: le donne perdono tutti i loro diritti, a partire da quello di lavorare e possedere un reddito, che viene subito girato ai mariti o ai padri.
E vengono divise sulla base dell’età in “Mogli” (le più fortunate perchè bellissime, legate sentimentalmente ai comandanti, ma senza poter dare loro dei figli), in “Marte” (le cameriere e governanti) e in “Zie” che si occupano di formare ed istruire (o meglio manipolare e soggiogare) l’ultima categoria di donne, quelle fertili appunto, chiamate “Ancelle”. Tutte le altre vengono mandate in campi di concentramento (le colonie) dove lavorano la terra ormai inquinata e radioattiva.
Il compito delle Ancelle è quello di vivere nella casa dei potenti ed accoppiarsi con il loro comandante in presenza della moglie (in un vero e proprio rituale religioso), cercando di dare loro prole sana.

Immaginate la serie di umiliazioni, soprusi, violenze fisiche e psicologiche.
Ecco, per quanto vi sforziate siete ancora lontani dal modo sublime in cui riescono a raccontarlo gli attori, con una straordinaria Elizabeth Moss, la protagonista (la Peggy di “Mad Men”), vincitrice di un Emmy per questa serie, da sola motivo per guardarla (ma c’è anche Alexis Bledel, la Rory Gilmore di “Una mamma per amica”, ormai decisamente cresciuta).
La protagonista nella sua vita “precedente” si chiamava June, era sposata, aveva una bambina, il suo lavoro ed un’indipendenza economica.

Nelle sue attuali condizioni si chiama “Difred” dove Fred è il suo padrone. Il suo nome quindi cambierà quando dovrà dare un figlio ad un’altra famiglia.
Una proprietà, un oggetto, ridotta alla sua mera funzione riproduttiva, come si scopre da “un illuminante” e rivelatore dialogo tra lei e il suo comandante. Che per cercare di costruire un minimo di rapporto umano la invita di nascosto a passare del tempo insieme per conoscersi meglio. Questo sfocerà poi ovviamente in una relazione clandestina. Qui l’assurdità è che “tradisce” la moglie (come si scoprirà fanno anche altri comandanti) con quella con cui dovrebbe procreare, in una situazione surreale e opposta al clichè. Perchè se il tradimento carnale è concesso, in quanto in nome di Dio, quello intellettuale no. E infatti nei loro incontri segreti giocano a Scarabeo, ormai proibito alle donne.

Mentre sfoglia davanti a lei una rivista femminile (ora non possono più neanche leggere) le dice:
“Non ti manca? Elenchi di problemi inesistenti, nessuna donna era ricca abbastanza, giovane abbastanza, bella abbastanza… brava abbastanza.”
“Ma almeno potevamo scegliere”, risponde June/Difred.
“Ora avete il rispetto, siete protette, potete compiere il vostro destino biologico in santa pace.”
“Destino biologico?” chiede esterefatta.
“Bambini! Per cos’altro si dovrebbe vivere?
“Per l’amore!” dice lei.
“L’amore… non è reale, non è mai stato altro che lussuria con una buona campagna pubblicitaria.”
“Forse per te, ma non per me”, risponde infine attonita e totalmente disillusa lei.
The Handmaid’s tale: riflessioni sull’imperdibile serie di Amazon. Quali sono dunque?
Primo.
Questo mondo della Attwood è una distopia ma spesso ti ritrovi a pensare che potrebbe anche verificarsi davvero. Alla fine è un’America di “talebani cristiani”. E si è arrivati in quella situazione perchè in seguito ad attentati terroristici (si scopre organizzati apposta per scatenare il putiferio) scatta la legge marziale e cominciano ad avvenire pian piano importanti limitazioni della libertà.
Come non pensare al “nostro” 11 Settembre? Ho scoperto da una docuserie su Netflix (“Turning Point”, che ripercorre gli eventi di quel fatidico giorno che ha cambiato la storia) che si voleva concedere alla Presidenza l’uso della forza illimitata a livello costituzionale, in seguito agli attacchi.
Molti membri del Congresso erano in dubbio. Non si parlava d’altro.
Semplici 60 parole da aggiungere alla legge: “ll Presidente è autorizzato a usare la forza contro qualsiasi nazione /organizzazione/ forze alleati o individui implicati nell’11 settembre”.
Una legge troppo vaga, Al Qaeda nemmeno nominata. E qui il dubbio etico di concedere un potere militare così grande al Presidente attuale e ai futuri: si sarebbe trattato di un cambio davvero importante della costituzione.
Solo una donna membro del Congresso votò contro, con conseguenze per lei incredibili e minacce di morte successive (60.000 e-mail ricevute in cui le davano della traditrice). Lei ha reputato che fosse in momenti come questi in cui si doveva preservare la lucidità e la razionalità.
Questo paragone solo per dire che non è uno scenario del tutto improbabile neanche nelle democrazie più solide. Il rischio di perdere la bussola in situazioni di grave shock emotivo non è inesistente.
Senza scomodare i terroristi e i colpi di Stato, con l’emergenza COVID attuale, sono le donne quelle che hanno perso la maggior parte dei posti di lavoro e hanno dovuto fare pesanti rinunce. Quindi è un attimo perdere diritti e conquiste ottenuti con anni di lotte e sacrifici.

Secondo.
Nella serie fanno capire che il mondo è andato alla deriva perchè “hanno lasciato che le donne si realizzassero e quindi cominciassero a scappare dalle famiglie”. La colpa è loro, loro sono quelle non fertili. Quindi le nuove misure sono l’unica soluzione per ripristinare l’ordine prestabilito. In realtà ufficialmente c’è una motivazione ambientale e genetica e di fatto non è mai stato accertato che il problema fosse femminile. E’ vero che non ci sarebbero state alternative meno agghiaccianti?
Perchè molte delle decisione e leggi di Gilead assomigliano a scelte fatte davvero nei secoli scorsi, tutt’ora in auge in alcune parti del mondo (il burka a Kabul, l’impossibilità per le donne di studiare e iscriversi all’Università).
Ma nel “nostro” mondo di fatto non si è mai dovuto affrontare il problema dell’infertilità su scala mondiale. Anzi “soffriamo” del problema opposto. Solo nei Paesi avanzati si stanno verificando delle preoccupanti cadute del tasso di natalità. Sarebbe quindi questa la soluzione? Impedire alle donne di avere altro oltre al loro “destino biologico”? Rimandare brillanti professoresse, dottoresse e redattrici a lavorare a maglia e a fare giardinaggio?
Annullare il destino di chi non vive con il solo fine di procreare? E perchè non si è pensato a lavorare su efficaci politiche di conciliazione? Agevolare maternità e realizzazione professionale così da non privarsi di tanti talenti femminili, capaci di portare alto valore aggiunto non solo attraverso l’utero?
Perchè nella fantastica Repubblica di Gilead non c’è spazio neanche per gli omosessuali e quindi viene tanto il dubbio che questa sia la solita risposta che va a discapito delle minoranze e del “diverso”. E il comandante Fred lo confessa alla sua Ancella: “volevamo solo creare un mondo migliore”. Migliore però non vuol dire per tutti, vuol dire peggiore per qualcuno. E sta qui tutto il nodo etico. Per il “bene” superiore è giusto privare di diritti e libertà una parte della popolazione?
Spero non ci troveremo mai in una situazione del genere. Ma mai come nel vedere questo scenario paradossale viene messa bene a fuoco la grandezza del miracolo di dare la vita -cosa che si fa in due- e allo stesso tempo quanto la maggiore responsabilità e condanna ricada sulla donna. E per vedere l’impatto di questo tutti i giorni non serve scomodare la Attwood e la distopia. Tornerò su questi discorsi presto perchè la serie mi ha fatto scatenare molti altri pensieri, nel frattempo aspetto i tuoi commenti!
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