Pink is the new black: l’effetto del film di Barbie

Pink is the new black: l’effetto del film di Barbie

Pink is the new black: l’effetto del film di Barbie.

Il primo è quello visivo. Si chiama “Barbiecore” la tendenza di vedere “la vie en rose” in ogni ambito, dalla moda, al make up passando per l’arredamento. Ci avevo già fatto un articolo.

E questo è ormai mesi che si percepisce, senza neanche dover ricorrere al dono di cogliere i segnali deboli, visto che sono eclatanti. Non si parla e vede altro (almeno nel mio algoritmo di IG). Ogni giorno Margot Robbie sfoggia una nuova mise rosa-stucchevole a qualche anteprima. Probabilmente la poverina passerà presto al look “vedova sarda” per riprendersi.

Ora finalmente il film è uscito e adesso al di là delle cromie credo leggeremo mille riflessioni sul significato e sul messaggio della pellicola, girata da una regista femminista, Greta Gerwic. Mi scuso se ci sarà un pò di spoiler ma non stiamo parlando di un thriller o un film giallo (rosa semmai, come detto) quindi niente trame alla “Sesto senso”.

Nel caso fermati qui, vai a vedere il film e ritorna.

Ciao, lo sapevo che restavi.

Allora che dire, non avevo molte aspettative ma tutto sommato l’ho trovato più profondo di quello che pensassi. Di base è un enorme spot della Mattel che ne firma infatti la Produzione. Però non è che sia (solo) una celebrazione dell’azienda, anzi in molti momenti c’è molta sana autoironia e autocritica.

E’ un momento di riposizionamento del brand Barbie condiviso (qui è la manager che parla). Una crisi di mezza età e di perdita di senso sul proprio ruolo. Il tentativo di trovare un nuovo significato e valori ad una bambola che negli anni è stata considerata in modo controverso. In un certo senso ha rappresentato un modello di perfezione irraggiungibile, sessualizzato, manifesto di una bellezza ariana, di una magrezza innaturale in cui proprio poche potevano rivedersi. Negli ultimi anni è iniziato un processo di diversity e inclusion per cui sono state lanciate anche le versioni dottoressa, ingegnere, su sedia a rotelle, Presidente, curvy e di ogni etnia…

Insomma il messaggio è diventato “puoi diventare quella che vuoi”. Io già ho apprezzato questo passaggio. Un’azienda che capisce che deve evolvere se vuole continuare ad essere competitiva e in linea con i tempi.

La cosa incredibile è come nel film riescano a ribaltare la realtà e quindi succede che è proprio a Barbieland e non nella vita vera che si è creata una comunità dove appunto le donne sono tutte di successo e al potere, mentre i Ken sono dei bambocci solo muscoli e niente cervello. Un perfetto contorno. Che geniale modo di rivisitare il ruolo di una bambola nata così per emancipare le donne e non mortificarle verso un modello irraggiungibile. Siamo noi che non l’abbiamo mai capito.

Prima le bambine giocavano solo a fare le mamme con i bambolotti, confinate nella sola dimensione domestica, tra biberon e ferri da stiro. Con Barbie si aprono mille opportunità. Giù il cappello a quelle volpi del management della Mattel.

Pink is the new black: l’effetto del film di Barbie.

E’ quindi un grande rovesciamento di significato e ruoli in diversi ambiti: tra uomini e donne e tra realtà e Barbieland. Che contrasto infatti con il mondo vero, dove ad un certo punto Barbie e Ken finiscono. E scoprono come in una società permeata ancora di patriarcato le cose siano molto diverse.

Magistrale America Ferrera, l’indimenticata Ugly Betty, monumento all’ordinarietà nella sua normalità e nel suo essere bruttina, scelta non a caso come nemesi e contraltare della Barbie da stereotipo.

Suo il monologo più bello del film dove ci riconosciamo tutte noi donne, nelle nostre difficoltà quotidiane. In cui dobbiamo essere belle, ma non provocanti. Magre, ma non anoressiche. In gamba ma non aggressive. Dobbiamo avere successo, ma tenendo un profilo basso, perchè non ce lo perdonano. Perchè non ce lo perdoniamo noi donne per prime. Vietato poi invecchiare!

Insomma tante riflessioni fatte mille volte, anche su questi schermi, riviste tutte insieme. Un bel ripasso rosa-psichedelico. E anche il povero Ken (bravissimo Ryan Gosling), che fa la figura del tonto per tutto il film, alla fine rivendica la possibilità di esternare le proprie fragilità e debolezze. Ossia tutto quanto anche ad un uomo è proibito, nel gioco dei ruoli di genere imposti da centinaia di anni.

La morale? Forse capire che ognuno di noi è unico e speciale. E soprattutto è ABBASTANZA.

Un elogio alla normalità. We are (K)ENough.

Lo abbiamo visto con entrambi i nostri figli. Per me troppo piccoli per coglierne tutte le sfumature. Ridevano di gusto, ma non credo abbiano compreso nel profondo il messaggio, magari lo rivedremo tra qualche anno (in America è considerato ok per over 13 in effetti).

Quanto all’ING? Pink is the new black: l’effetto del film di Barbie su di lui è stato il seguente.

“Sembra il mix tra un pippone femminista e Zoolander, con un esito non sempre riuscito. E l’indiscussa figaggine di lei non riesce a risollevare il giudizio”.

Questa la sua recensione (amo il suo pragmatismo e dono della sintesi). 90 minuti di applausi?

Sarebbe stata la stessa se il film si fosse chiamato “KEN”?

Ai posteri l’ardua sentenza.

Tu hai già visto? Che ne pensi? Vieni a discuterne sul mio profilo Instagram.

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